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L'′Aquilegia

L′Aquilegia
Aquilegia nugorensis
Era la prima volta che entravo nelle gole di Gorropu e, come tutte le volte che affrontavo il Supramonte, ero molto emozionata. I grandi bonsai naturali di lecci e tassi incastonati nel bianco dei calcari erano una sorta di rappresentazione della potente e disperata forza della vita.
Procedevamo piano e in silenzio. Ci sono luoghi in cui la parola non può interromperne il silenzio. Di tanto in tanto si sentivano richiamo e canti, distinsi chiaramente un paio di rapaci e speravo che ad essi si aggiungesse quello dell’aquila reale.
Ero seduta su un grande masso rotondo coperto da una polvere bianca, sottile e leggera come talco. Guardavo in giù, sotto le mie gambe che penzolavano scorsi alcune piantine fiorite di Aquilegia. Fra me e loro c'erano almeno un paio di metri e accanto a loro non c'era neanche lo spazio per i miei piedi, eppure volevo portare con me i loro colori delicati.
Mi tennero in due per i piedi, mi assicurai la macchina al collo in modo che il legaccio non penzolasse davanti all’obiettivo e mi calai a testa in giù. Due soli scatti, entrambi buoni. Non sono stata io brava, ma l’Aquilegia vanitosa a volermi seguire. Non si rassegnava, lei, nata così bella, a rimanere in quel piccolo spazio sconosciuto.