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estratto da "Piccoli universi"

NATURALE, ARTIFICIALE

GLI ECOSISTEMI: QUANTO GRANDI?

Parlando di ecosistemi si pensa immediatamente a qualcosa come il mare, un bosco, un deserto; a qualcosa di "grande", in cui ciascun organismo occupa un "piccolo" posto. Parlare di un muretto, di una siepe o di un fosso come di un ecosistema può sembrare, a prima vista, pretenzioso; vedremo, invece, come questi piccoli territori siano a tutti gli effetti degli ecosistemi in miniatura, le cui dimensioni rappresentano un vantaggio nello studio dell'ecologia, perché non sono altro che esemplificazioni di ecosistemi più vasti e quindi più complessi. Da un punto di vista didattico, iniziare uno studio da realtà più semplici è conveniente per due motivi: il minor numero di elementi di cui si deve tenere conto rende meno dispersivo il lavoro; in secondo luogo, per gli studenti più giovani la possibilità di esplorare "tutto" consente loro di sentire più "vicini" e accessibili i territori da esplorare. Per un approfondimento del concetto di ecosistema e per i relativi suggerimenti didattici rimandiamo alla dispensa Appunti e spunti di Educazione Ambientale.

ARTIFICIALE, NATURALE

Prima di iniziare il nostro excursus ecologico è opportuno fare una riflessione su questi due termini tanto usati negli ultimi anni. Partendo dalla definizione del dizionario della lingua italiana di Devoto e Oli troviamo:
  • artificiale. Ottenuto con accorgimenti o procedimenti tecnici che imitano o sostituiscono l'aspetto, il prodotto, o il fenomeno naturale [dal lat. artificialis];
  • naturale. Indica riferimento alla realtà fenomenica, ma soprattutto all'elementarità originaria [dal lat. naturalis]
Comunemente la parola artificiale viene applicata a tutto quanto è stato costruito dall'uomo attraverso l'uso di tecniche e tecnologie, mentre per naturale si intende tutto quanto è frutto del "lavoro" della natura. Nel tempo le due parole hanno perduto la loro connotazione originaria, divenendo antitetiche: la prima ha assunto un valore di per sé negativo, mentre la seconda è sinonimo di "cosa buona"; cerchiamo di capirne il motivo. La specie Homo sapiens tende ad occupare quanti più territori è possibile utilizzando le risorse in essi disponibili. Fino a quando gli strumenti a disposizione erano le sue mani, per quanto abili, sono stati gli ambienti da lui colonizzati a plasmarne la morfologia dando origine alle varie razze, e a condizionarne le abitudini. Utilizzando il suo organo più evoluto, il cervello, questa specie è poi riuscita, mediante l'applicazione di tecniche sempre più complesse e attraverso l'uso di tecnologie sempre più sofisticate, a capovolgere la logica iniziale: ha adattato i territori colonizzati alle sue esigenze, sfruttando in modo massiccio le risorse disponibili. Lo stesso cervello che ha reso possibile un intervento tanto "forte" dell'uomo, non è stato tanto intelligente da fargli prevedere le conseguenze delle sue azioni, e la vecchia legge stampata nei geni della specie, ancora troppo potente rispetto alle acquisite capacità di riflessione, lo ha indotto ad un consumo di risorse tanto esagerato da rendere difficoltosa la sua stessa esistenza. Oggi viviamo il momento della riflessione e della ricerca di nuovi equilibri che rendano la presenza della nostra specie sostenibile per il nostro Pianeta. In questo momento quindi la parola artificiale, cioè "fatto dall'uomo", diviene non solo antitetica al "fatto dalla natura", ma si carica di un senso totalmente negativo rispetto all'altro. Questo presupposto fa sì che qualsiasi azione umana sul territorio, sia essa passata, presente o futura, venga vista con sospetto o allarme, tanto da impedire di formulare un'intelligente valutazione di ciascuna di esse. Un esercizio per uscire da questa ottica riduttivistica delle cose può essere chiedersi fino a che punto una definizione escluda l'altra, per capire se le due parole siano effettivamente antitetiche. Fino a che punto un castagneto è naturale? Nessuno può negare che i castagni siano un prodotto naturale, ma sono artificiali impianto, perimetrazione e gestione del bosco. Aree protette e parchi, pur essendo preziosi ambienti naturali, sono stati artificialmente perimetrati e gestiti. La rinaturalizzazione di zone degradate è un'operazione del tutto artificiale, che serve a restituire "naturalità" ad ecosistemi precedentemente rovinati. Si può arrivare a chiedere fino a che punto una bottiglia di PET sia artificiale, visto che è un derivato del petrolio, prodotto naturale lavorato sì artificialmente, ma su progetto di un cervello derivato dalla selezione naturale! Ecco quindi che, volendo, le due parole arrivano a sfumare l'una nell'altra, riacquistando il loro giusto significato e valore.

PUNTI DI VISTA

Crediamo che sia molto importante, soprattutto per chi ha il compito di formare la coscienza e la conoscenza dei giovani cittadini, riflettere sui rapporti con le altre specie presenti nei nostri ambienti senza steccati ideologici o preconcetti, guardando le cose da vari punti di vista, anche ponendosi interrogativi che a prima vista potrebbero sembrare un po' assurdi. Per esempio, possiamo legittimamente porci l'interrogativo: per il castagno, essere piantato dall'uomo o nascere spontaneamente è la stessa cosa o no? La risposta, evidentemente, non può essere "si" o "no". Possiamo però dire che per quella specie è stato indubbiamente vantaggioso riuscire a colonizzare facilmente e rapidamente ambienti in cui forse non sarebbe mai arrivata. Non è stato però così vantaggioso per le piante che hanno dovuto "sloggiare" per fare posto ai castagni! Ecco quindi che il problema inizialmente posto, divenendo un problema di rapporti fra i diversi elementi di un ecosistema, ne riflette le logiche complesse. Di fronte ad un muro cittadino che esprime la scarsa manutenzione dei suoi proprietari attraverso "strisce" verdastre sotto la grondaia che perde, ciuffi di parietaria alla sua base, vecchi favi di vespa cartonaia negli interstizi lasciati dall'intonaco caduto e nidi di balestrucci sotto la grondaia, possiamo legittimamente chiederci: per le specie che, approfittando della "distrazione" umana, hanno colonizzato questo muro invece degli habitat originali, qual'è la differenza fra le due "sistemazioni"? La risposta verosimilmente è: visto che la nostra specie, per fare posto ai suoi habitat artificiali, ha "rubato" loro gli habitat naturali, vespe, balestrucci, parietarie e alghe cercano di renderci pan per focaccia! Per chi lo ha costruito, un muretto di recinzione ha una funzione di delimitazione, ma per chi lo colonizza non è altro che una parete rocciosa, punto e basta. Un'alga o una vespa non si chiedono perché quelle pietre sono lì; semplicemente individuano in esse un substrato favorevole alla loro ecologia e biologia, e lo eleggono a loro habitat. E ancora una volta ci pongono un problema di rapporti......